Tentativi per una critica militante
di Matteo Mannocci
da" βPiccolo appello al pubblico della culturaβ, N. Balestrini
Qual Γ¨ il senso della critica?
Nel corso degli anni mi sono posto questa domanda cosΓ¬ tante volte che ormai mi Γ¨ impossibile ricordare quando abbia iniziato a farlo. Γ un interrogativo che mi ha accompagnato in diversi contesti β accademici, informali, istituzionali, intimi. Lβho sentito affiorare durante corsi universitari, riemergere nei workshop, strutturarsi in conferenze pubbliche o anche solo in chiacchierate notturne tra artisti e amici. Ogni volta le risposte mutavano: prendevano la forma di riflessioni condivise, di bibliografie annotate, di dispense piene di rimandi, ma anche βsoprattutto β di incertezze. PerchΓ© chiedersi quale sia oggi il senso della critica non Γ¨ semplicemente un esercizio teorico, Γ¨ un gesto di responsabilitΓ e di posizione.
Anche il processo stesso che ha portato alla nascita di GOLEM, che ha assorbito una parte importante del mio tempo ed energie durante tutto il 2022, nasce da qui: da questa urgenza di interrogare la funzione della critica, e di farlo non in modo astratto, ma militante. In un panorama artistico che sfugge alle griglie interpretative consolidate, come dovrebbe muoversi una critica consapevole e contemporanea?
Negli ultimi decenni sono infatti venuti meno molti dei presupposti che per secoli hanno sostenuto la critica come genere. Tradizionalmente, la critica si fondava su un esercizio di giudizio: selezionare, classificare, ordinare. Le opere venivano valutate sulla base di canoni estetici e codici culturali ritenuti universalmente validi, in un processo di costruzione del gusto e di legittimazione culturale che mirava a stabilire cosa dovesse essere ricordato e cosa dimenticato, cosa potesse dirsi βarteβ e cosa no.
Oggi, perΓ², questi paradigmi si sono infranti. Il campo artistico Γ¨ diventato troppo complesso, troppo fluido per essere ricondotto a modelli rigidi. Le opere rispondono a impulsi molteplici e spesso inconciliabili: istanze politiche, urgenze identitarie, appartenenze geografiche, condizioni di marginalitΓ o di privilegio. Le estetiche si ibridano, si contaminano, rifiutano i confini disciplinari. E soprattutto, la Rete ha trasformato radicalmente la possibilitΓ di accesso, spalancando lβascolto a discografie sommerse, a musiche invisibilizzate da secoli di dominio eurocentrico, a pratiche sonore che lβindustria discografica β modellata da logiche coloniali, sessiste, escludenti β aveva silenziato.
Torniamo dunque alla domanda iniziale: che senso ha, oggi, la critica?
Una possibile risposta β e forse anche la piΓΉ ricorrente β Γ¨ che la critica, nel suo farsi contemporaneo, abbia subito un processo di ridimensionamento. Si Γ¨ vista spesso relegata a una βcritica di genereβ, dove il termine βgenereβ assume, di quando in quando, un doppio significato: da un lato quello musicologico, legato alla classificazione (jazz, rock, elettronica, tradizione orale, sound artβ¦); dallβaltro, piΓΉ ampio e teorico, legato alle identitΓ (di genere, di classe, di provenienza culturale). Questo spostamento, pur legittimo e utile in molti casi, ha finito perΓ² per cristallizzare la critica in ambiti altamente specialistici, autoreferenziali, dove la posta in gioco sembra essere piΓΉ la produzione di linguaggio accademico che un confronto reale con le opere, i contesti e le comunitΓ da cui esse emergono; come invece un depotenziamento che si attua frantumandosi tra blog, siti, riviste di settore.
In questo modo, la critica rischia di perdere il contatto con lβarte stessa, con la sua capacitΓ di interrogare il mondo e trasformarlo. Diventa esercizio formale, un codice per iniziati. Invece di costruire ponti tra opere, pubblici e immaginari, costruisce invece stanze chiuse, protette da barriere teoriche e filtri concettuali. Si concentra sul riconoscimento interno, tra addetti ai lavori, piΓΉ che sulla mediazione culturale. E cosΓ¬ si smarrisce lβenergia originaria della critica: quella di abitare il presente, di dialogare con le tensioni della realtΓ , di restituire senso al fare artistico nel suo farsi vivo.
Dβaltra parte, appare oggi altrettanto anacronistico β se non addirittura pretestuoso β voler esercitare un giudizio assoluto sulla musica in senso globale, come se esistesse un unico canone o una sola prospettiva legittima da cui valutare le opere. Pensare di mettere sullo stesso piano, con gli stessi strumenti e le stesse griglie, musiche provenienti da Stati Uniti e Giappone, dal Mediterraneo e dal Sudamerica, dalla Cina e dallβAfrica, non solo Γ¨ metodologicamente fragile quanto spesso sbagliato, ma rischia anche di riprodurre vecchie logiche gerarchiche, talvolta neocoloniali, che la critica dovrebbe invece contribuire a decostruire.
Il mondo sonoro contemporaneo Γ¨ frammentato e stratificato. Le musiche si muovono su coordinate non solo estetiche, ma anche storiche, politiche, geografiche, comunitarie. Ogni contesto ha le sue logiche di produzione, le sue ritualitΓ di ascolto, i suoi dispositivi. In questa molteplicitΓ , il compito della critica non puΓ² essere quello di valutare dallβalto, ma semmai di rendere leggibili le differenze, di amplificare le voci sommerse, di interrogarsi sulle condizioni di possibilitΓ dellβascolto. La critica deve imparare a decentrarsi, a farsi situata, a riconoscere i propri limiti.
In questo senso, forse, la critica non ha perso senso: ha solo perso lβillusione di poterne avere uno solo. Il suo valore oggi non sta piΓΉ nel dire cosa Γ¨ buono e cosa no, cosa Γ¨ valido e cosa va scartato. Ma nel saper stare dentro la complessitΓ , nel rifiutare lβunivocitΓ , nel coltivare lo sguardo plurale. Nella capacitΓ di porre domande β anche scomode β piΓΉ che fornire risposte. E soprattutto, nel desiderio di ascoltare prima di parlare.
La posizione che penso si adatti meglio al presente, per quanto mi riguarda, Γ¨ quella di una critica che si intrecci profondamente con la curatela, non come ambito separato, ma come pratica complementare. Critica e curatela, insieme, possono costituire un dispositivo narrativo e politico, capace di accompagnare i processi artistici piΓΉ che giudicarli, di evidenziare connessioni invece che stabilire valori assoluti.
In questo senso, la critica non dovrebbe piΓΉ porsi come osservatrice esterna, ma come parte attiva di un ecosistema culturale in continua trasformazione. La sua funzione puΓ² allora essere quella di costruire cornici di senso, di attivare spazi β reali o virtuali β dove lβascolto possa accadere in forme nuove, condivise, riflesse. Penso quindi a una critica che si sviluppi a fianco di chi gestisce label indipendenti, spazi autogestiti, archivi sonori digitali, piattaforme comunitarie, che propongono non semplicemente un prodotto musicale, ma unβidea di mondo, una proposta di relazione tra suono, persone e ambienti.
CiΓ² che conta, in questo quadro, non Γ¨ piΓΉ soltanto lβoggetto musicale in sΓ©, lβopera chiusa e finita, ma ciΓ² che avviene prima e dopo: i processi che la rendono possibile, i contesti in cui viene prodotta, le modalitΓ con cui viene fruita, discussa, archiviata, trasformata. Una critica davvero contemporanea dovrebbe allora imparare a raccontare questi processi, a rendere visibili le infrastrutture invisibili che permettono alla musica di esistere e circolare: la relazione con il territorio, le microeconomie, i software, le tecnologie, le tensioni affettive e politiche, le relazioni tra chi crea e chi ascolta.
Tutto questo implica un ripensamento dellβascolto stesso. Non piΓΉ inteso come atto individuale, solipsistico, mediato da dispositivi e algoritmi, ma come esperienza collettiva e relazionale. Lβascolto come pratica sociale, momento di scambio, di riconoscimento reciproco, di attenzione condivisa. E con esso, la musica -e l'ascolto- si rivela per quello che Γ¨ sempre stata: una forma di vita, un modo di stare al mondo, di costruire comunitΓ , di immaginare nuove forme di esistenza e di attenzione verso il mondo che ci circonda.
Trovare dunque alla critica un senso nuovo significa ripensarla non piΓΉ come esercizio di valutazione estetica o di affermazione di un canone, ma come una pratica di accompagnamento attivo e consapevole al fruitore. Una presenza militante, capace di posizionarsi allβinterno dei contesti sociali, culturali e politici che attraversano la produzione e la fruizione artistica, per orientare e talvolta anche perturbare i modi in cui ascoltiamo, interpretiamo e viviamo lβarte.
In questa prospettiva, la critica si configura come uno spazio riflessivo, che parta da una teoria a priori ma che resti in ascolto, capace di trasformarsi nel tempo attraverso il confronto con le opere, i contesti e le esperienze. Lβarte, e in particolare la musica, diventano cosΓ¬ un filtro attraverso cui leggere i cambiamenti del mondo, ma anche uno strumento per ripensare le proprie categorie critiche, rinnovare il linguaggio e affinare la sensibilitΓ .
In questo modo, senza pretendere di conoscere veritΓ che siano assolute o giudicare, si assume invece la responsabilitΓ di creare connessioni indicando traiettorie e aperture possibili. Condividere, invece che imporsi, offrendo strumenti per una comunitΓ che diventa critica a sua volta.
Consapevole che negli anni in molti hanno lavorato su questo aspetto, cercheremo di dare il nostro contributo, per quanto possibile, seguendo una nostra visione. In questo spirito, anche lo spazio che stiamo cercando di costruire mira a evolversi nel tempo. Vorremmo che diventasse un luogo piΓΉ ampio e articolato, capace di accogliere prospettive diverse ma coerenti con la nostra visione delle arti sonore contemporanee. Cercando ogni volta la forma piΓΉ adatta al contenuto: che sia testo, conversazione, intervista, documentazione sonora, partitura, archivio o esperienza partecipativa. Consapevoli che lβidentitΓ critica non si definisce una volta per tutte, ma si costruisce nel fare, nel dialogo, nellβapertura a ciΓ² che emerge dallβincontro con lβaltro β e con il suono.
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IL DISCO DEL MESE
Demilitarize- Nazar (Hyperdub)
Il primo album completo di Nazar, βGuerrillaβ, aveva sconvolto un pubblico sorprendentemente vasto e variegato in quellβanno disgraziato che fu il 2020. Con βDemilitarizeβ, Nazar firma un secondo capitolo sorprendente e introspettivo, che rovescia la brutalitΓ del debutto per esplorare una nuova vulnerabilitΓ sonora. Lβartista angolano reimmagina il kuduro in chiave eterea e quasi metafisica, lasciando che ritmi fluttuanti, design sonoro stratificato e una voce sommersa ma intensa raccontino il passaggio dal trauma alla rinascita, dallβarmatura alla resa. Ispirato a estetiche cyberpunk e attraversato da riflessioni sullβamore e sulla malattia, Demilitarize Γ¨ un disco che chiede attenzione, immersione, ascolto ravvicinato.
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UMIDO - Spazi connessi
di Pietro Michi
Negli ultimi mesi, ho avuto il piacere di collaborare a un progetto artistico con Demetrio Cecchitelli e Daniele Carcassi, noto come Abo Abo. Nellβottobre del 2024, ho invitato Daniele e Demetrio a svolgere una residenza artistica negli spazi di NUB Project Space, con lβobiettivo di sviluppare un approccio performativo che unisse le due personalitΓ . Il progetto ha coinvolto le loro pratiche individuali, utilizzando suoni registrati durante la residenza. Uno degli obiettivi della residenza era anche la realizzazione di un album, destinato alla pubblicazione su BiodiversitΓ Records, etichetta indipendente da me curata. Nel maggio 2025 Γ¨ uscito lβalbum Interspazio, accompagnato da un primo live aperto al pubblico negli spazi di Artiglieria.
La residenza ha portato, oltre all'uscita discografica, a un particolare approccio performativo: lβesecuzione si svolge con due setup e relativi impianti posizionati uno di fronte allβaltro, all'interno di un ampio spazio. Qui i due artisti suonano secondo uno schema molto libero, vagamente concordato. I suoni utilizzati durante la performance sono quelli raccolti durante la residenza, elaborati tramite sintetizzatori, computer e strumenti acustici, arricchiti da tocchi dβimprovvisazione pura.
Questa performance crea un βtunnel sonoroβ, dove l'ascolto richiede un movimento attivo: il pubblico puΓ² sostare al centro, godendo di unβesperienza dβascolto piΓΉ complessiva, oppure spostarsi, regolando autonomamente i volumi e il punto dβascolto. La curiositΓ diventa il motore: ogni individuo Γ¨ libero di muoversi seguendo il proprio istinto, attirato dai suoni che piΓΉ colpiscono.
La performance Γ¨ stata proposta sia in una versione intima, alla fine della residenza, che in una forma aperta al pubblico. In entrambe le occasioni Γ¨ riuscita autonomamente a coinvolgere il pubblico in una modalitΓ di ascolto inusuale.
Per approfondire il punto di vista degli artisti e scoprire alcuni retroscena del progetto, ho deciso di lasciare la parola a Demetrio e Daniele.
Ciao, grazie per condividere con noi le vostre esperienze! Per questa occasione, vi farΓ² delle domande volutamente semplici, per dare spazio alla vostra narrazione. Ma prima, se volete, fateci una breve introduzione al vostro percorso artistico.
Demetrio:
Ho iniziato a pensare al suono una decina di anni fa. Mi immersi in questo mondo con il bisogno di scoprire, ritrovarmi. Questa immersione mi ha offerto la possibilitΓ di sperimentare un linguaggio, utilizzando strumenti acustici ed elettronici, e lavorare sulla loro processazione. Penso che la spontaneitΓ e intuizione siano le fondamenta del processo, non so ancora con certezza cosa porterΓ il futuro... Ho delle schedule, qualcosa che so per certo verrΓ fuori, ma cerco quasi sempre di lasciarmi trasportare dal flusso dellβimmediatezza.
Abo:
Mi occupo di musica elettronica da 10 anni, spaziando dai contesti piΓΉ accademici, contemporanei e improvvisativi, alla sound art e alle installazioni sonore, fino al clubbing e ai free party. Dopo gli studi al conservatorio in Musica Elettronica e Sound Design a Bologna ho continuato autonomamente la mia ricerca, cercando di sviluppare un sound personale e coeso, che trae spunto da varie esperienze sensoriali.
Come si Γ¨ sviluppata l'idea del tunnel sonoro? Quali sono stati i passaggi principali e quali regole avete applicato per riuscire a creare un dialogo durante il live?
Abo:
Come prima cosa abbiamo registrato una serie di materiali sonori legati allo spazio che ci ospitava, ai nostri strumenti musicali e a una serie di oggetti lasciati da Pietro. Questi suoni sono stati poi elaborati individualmente, come avevamo giΓ fatto cinque anni fa durante la nostra prima collaborazione. Successivamente abbiamo riflettuto sullo spazio, cercando di sviluppare un sistema di immersione sonora alternativo al classico multicanale. Ispirati dalla conformazione degli ambienti, abbiamo ideato un βcorridoio sonoroβ con due punti di diffusione stereo, ciascuno controllato in modo indipendente. Questo setup ha permesso la creazione di due paesaggi sonori distinti ma interconnessi, in continua influenza reciproca. La performance non seguiva regole fisse: ci siamo concentrati sulla distribuzione dei materiali nel tempo, sullβascolto reciproco e sulla possibilitΓ di suonare a lungo. In questo modo si generavano dinamiche interne che attraversavano le stanze, dando vita a un ambiente sonoro nuovo e immersivo. Non conosciamo altre esperienze che abbiano sperimentato questo tipo di diffusione, e lavorare sullβinterazione tra esecuzione e ascolto Γ¨ stato decisamente stimolante.
Durante le esecuzioni nascono condivisione e curiositΓ . Il pubblico tende a muoversi nello spazio, alla ricerca del punto in cui lβincastro sonoro riesce a regalare un ascolto piΓΉ stimolante. Ma dal vostro punto di vista, cβΓ¨ interazione, sia tra di voi che con il movimento del pubblico?
Demetrio:
Sicuramente ad Artiglieria Γ¨ stata una bellissima esperienza. Dal mio punto di vista, Γ¨ stata una novitΓ sul piano dellβibridazione tra live set e installazione sonora: una commistione tra il dispositivo stesso del concerto elettroacustico e uno spazio di ascolto transitorio. La transizione che avviene nel tunnel, il movimento di chi ascolta, la distanza tra gli esecutori, la riflessione del suono lungo le curve della stanza contribuiscono a generare unβesperienza acustica stratificata.
CiΓ² che mi meraviglia di questo lavoro, nel suo contenitore specifico ma adattabile, Γ¨ la presenza del suono che si mischia in un flusso reciproco e circostanziale. Durante lβallestimento e le prove, mi capitava di percepire le iterazioni dei nodi sonori di Abo provenire dal P.A. alle mie spalle, e osservavo, ascoltando, qualcosa che effettivamente funzionava.
Non vedo lβora di poterne fruire anchβio, da spettatore-autore, magari in una modalitΓ durational, camminando nello spazio, tornando sui miei passi con nuove idee.
Prima di salutarci, vorrei avere qualche parola da parte vostra riguardo lβalbum Interspazio. Se doveste consigliare lβascolto o suggerire un approccio per goderselo al meglio, cosa direste?
Abo:
Interspazio è un lavoro che si presta secondo me a varie modalità di ascolto. à sicuramente un album di musica sperimentale ma al suo interno abbiamo suddiviso i brani in modo di differenziarli e caratterizzarli, così da rendere il lavoro facilmente fruibile in qualsiasi contesto. I brani sono ricchi di linguaggi differenti che li rendono secondo me adattabili a più situazioni e contesti.
Demetrio:
Sono un grande affezionato della riproduzione dal telefono, ma consiglio di usare le cuffie per unβesperienza piΓΉ avvolgente. Ovviamente il disco Γ¨ un riadattamento in stereofonia, ma Γ¨ giusto che ci sia una differenza tra album e performance! Sono davvero contento di questa uscita; ho apprezzato lβaspetto curatoriale del tutto: la cassetta, il mastering, e la composizione delle cinque tracce. In totale umiltΓ , credo che abbiamo fatto del nostro meglio, e che Interspazio rappresenti una record che puΓ² essere digerita e compresa sia da orecchie esperte che da quelle dei beginner.